L’Unità della sinistra senza base ideale resta una parola vuota

A volte ci si domanda se ha ancora senso  oggi parlare di socialismo.

Una visione attenta e sufficientemente critica dei fatti del mondo impone spesso il quesito, proprio alla luce del fallimento migliorativo delle condizioni complessive dell’umanità, che pur nel suo sviluppo della conoscenza non ha saputo ancora togliere dall’indigenza e dalla miseria gran parte delle popolazioni.

Ed è altresì difficile non pensare che forse non si riuscirà mai a riequilibrare né le risorse, mettendole a disposizione in modo equo, né rafforzare i diritti degli uomini e delle donne a vivere dignitosamente.

La domanda iniziale si pone automaticamente quando vediamo in crescita inarrestabile il divario tra chi ha molto e chi non ha nulla, quando ravvisiamo le intollerabili ingiustizie alle quali non si riesce a mettere fine e spesso non si vuole farlo, quando riflettiamo sul fatto che ogni anno migliaia di lavoratori perdono la vita cercando di guadagnarsi non il benessere ma un semplice salario per vivere, quando vediamo che la condizione occupazionale diviene sfruttamento e schiavitù quando esiste.

Ci domandiamo se gli sforzi fatti sulla via della pace avranno un buon esito quando viviamo troppo spesso la guerra che è la più grande delle tragedie dell’uomo, quando non riusciamo a rendere accettabile il tenore di vita nei paesi più poveri ridotti a niente da sanguinose guerre civili fomentate da multinazionali appoggiate da governi interessati, quando sappiamo che ogni giorno muoiono migliaia di persone e in particolar modo i più piccoli e indifesi, che cedono alla fame, alla sete, agli stenti, alle violenze, quando vediamo scorrere il sangue innocente dei bambini soldato trascinati in tragici conflitti dei quali non conoscono neppure le motivazioni scatenanti.

E ci domandiamo ancora se ha ancora senso parlare di socialismo quando ci sentiamo spesso impotenti o restiamo consapevolmente indifferenti in modo vergognoso di fronte a questi fatti, quando restiamo  colpevolmente  insensibili e freddi, con il nostro vivere distaccato e noncurante verso queste situazioni che purtroppo rappresentano la quotidianità presente in ogni continente in modo più o meno diffuso, quando è palese l’inefficacia generalizzata dei meccanismi regolativi di una società che non può o non vuole contrastare un mondo che sta correndo verso un modello non certo auspicabile.

Però proprio questo è il mondo che abbiamo costruito, che abbiamo contribuito tutti a crescere, a formare dimenticandoci troppo di frequente della solidarietà, quasi fosse un onere, una fonte di rallentamento al progresso verso il quale acceleriamo in una discesa senza freni, un pendio ripido sul quale abbiamo riversato la nostra cupidigia, la nostra malcelata negligenza, con l’uso comune del dilazionamento della soluzione dei problemi, con la ricerca del dominio degli uni sugli altri, un mondo con il quale ora dobbiamo però confrontarci, volenti o nolenti, perché questa è la nostra vita di oggi e la situazione generale necessita di un brusco cambiamento di rotta, prima che il tutto diventi incontrollabile e tragicamente irrecuperabile.

E in questa frenetica evoluzione dell’uomo, fatta di trasformazioni, di sviluppo tecnologico, conquiste della scienza, con la nascita delle nuove professioni che richiedono nuove e differenti tutele, con l’impoverimento di gran parte delle popolazioni del pianeta, rinunciare a percorrere la via socialista non ha senso.

Soprattutto la società stessa in fase di dilatazione esponenziale verso una deriva assente di egualitarismo, non se lo può permettere, una società nella quale proprio il fondamento socialista risulta essere indispensabile nei suoi valori, fondamentale nel concetto dell’irrinunciabilità verso quell’impegno collettivo carico di responsabilità che possa portare ad una concreta speranza di cambiamento.

L’ideale socialista e della sinistra in generale ha rappresentato ieri, rappresenta oggi e senza dubbio rappresenterà in futuro un valore inalienabile per richiamare tutti i popoli ad avere come riferimento quel bagaglio di valori ideali, quel patrimonio culturale, fatto di esperienze storiche, di movimenti sociali, fatto di stagioni di governo diretto e indiretto come è stato in molte parti del mondo, un riferimento in cui il valore ideale rappresenta per la democrazia di ogni paese, per ogni donna e per ogni uomo una tangibile sostanza fatta non soltanto di concrete organizzazioni politiche, vere, sofferte, vissute, ma fatto anche di lotte sociali combattute e vinte, di stagioni fatte di impegno e di sudore di migliaia di uomini e donne, che ha fatto segnato tutto il percorso della sinistra internazionale, identificandosi in modo radicato anche nel nostro paese con la sfida vinta per la nascita della nostra Repubblica e della nostra Costituzione.

Ma pare che di tutto questo se ne dubiti ormai fortemente, anche  in buona parte della sinistra italiana, l’avvicinamento risulta flebile, un dubbio che si riflette anche nell’approccio al tema del possibile concorso alla costruzione di un nuovo soggetto politico che faccia della sinistra il crogiolo che servirebbe oggi in Italia.

Sembra che parlare di Socialismo, di società socialista, di sinistra  faccia paura.

Queste posizioni titubanteggianti nella sinistra italiana, tendenti a proporre nuovi e diversi scenari politici che sarebbero invece necessari, sono giustificate con il generalizzato indottrinamento mediatico controllato, culminante con la necessità di mettere in atto il superamento delle ideologie del ‘900 che molte volte vengono citate espressamente, talune volte in modo soffuso, ma altre volte in particolar modo nei contesti locali e periferici, generano una dialettica che si caratterizza per l’assente fondatezza di cultura politica.

E se tali concetti diventano in modo legittimo oggetto di un confronto che arricchisce la riconquista di una discussione perduta a sinistra, divengono invece aride e inaccettabili immagini ripetute se enunciate per riflesso, per pura ricerca di compiacimento delle platee e visibilità, quando sono portate senza le opportune valutazioni, restando solo piccole opinioni, chiuse in una recinzione povera di contenuti e avara di critica.

Ed è proprio a causa della lacunosità del necessario approfondimento sul merito, che queste affermazioni si manifestano in messaggi subliminali, infantilmente mal celati tra le righe degli interventi a tema, vista la palese assenza di conoscenza storica, che al contrario sarebbe invece utile e quanto mai propizia.

Questi messaggi però non riescono a celare la loro esatta fisionomia, e fanno emergere una sufficiente comprensione di quelli che sono i loro tratti fondamentali, evidenziandosi chiaramente ad una critica attenta come momenti dubitativi sull’attualità del Socialismo, che di conseguenza spingono verso la ricerca di nuovi assetti politici che si spingano oltre la sua funzione e quindi possano in qualche modo superarla.

Ma è altrettanto chiaro che questi concetti non sempre sono portati da un vero convincimento, frutto di una  ponderazione e di una analisi, verso il cui fine si potrebbe trovare condivisione o avversione, ma appaiono come forzature a supporto di un momento politico gravido di personale mantenimento di visibilità acquisita, di opportunismo politico verso la conservazione di forme di rappresentatività di potere consolidato, ritenendo quest’ultimo un’opzione privilegiata, esclusiva e riservata.

Non ci sono però colpe particolari ne dei singoli attori ne di qualche formazione politica specifica, la realtà è che il culto della personalità che si pensava oramai abbandonato da tempo a favore della collegialità sta trovando nuove stagioni.

Questo succede sia nel campo conservatore, a destra,  dove questa prassi non si è mai attenuata, ma anche nel campo progressista e riformista, nel campo della sinistra in generale.

Si sta vivendo un periodo storico dove viene molto accentuata la personalizzazione della politica, dove è ritenuto fondamentale l’apparire, il mostrarsi, dove la piazza è stata sostituita dai nuovi metodi della comunicazione, si persegue una frenesia di protagonismo, di visibilità, di acquisizione di nuovi spazi, di insistente ricerca della soluzione mediatica.

L’attuale sistema elettorale italiano che non ha ancora trovato una propria stabilità, alimenta l’insistente evento della nascita dei cosiddetti “partiti personali”, dei movimenti che si sviluppano attorno all’individualismo e al protagonismo del singolo, la politica misurata non con il consenso vero e sentito dai cittadini, le alleanze elettorali che diventano oggetto di scambio con la disponibilità economica gettata sul tavolo delle trattative, con la promessa di posti di potere.

Questa situazione rappresenta un fenomeno che ha trovato terreno fertile soprattutto nei paesi più sviluppati dell’occidente ed è  cresciuto con forza anche nel nostro paese e forse più che in qualsiasi altra grande nazione Europea,

Tutto questo stato di cose che si sono venute a generare si alimentano di nuova forza quando non trovano adeguata contrapposizione, nutrendosi di una debolezza e di un declino marcato dei metodi di direzione politica dei partiti storici della nostra Repubblica, una direzione politica che spesso viene esercitata non più in modo unitario e condiviso, diventando concausa della perdita di radicamento territoriale delle forze politiche stesse, specialmente di tutti quei partiti della sinistra che non sono più in grado di produrre quella partecipazione e quel coinvolgimento popolare caratterizzante, partiti della sinistra che risentono più di altri lo scemare delle motivazioni in grado di diventare la forza mobilitatrice della loro base elettorale.

La conseguenza palesemente riconosciuta e spesso denunciata dai militanti è che alla vita democratica nelle istanze di base si accompagna una diffusa e soverchiante disinvoltura nella lotta per il potere e nella sua amministrazione.

Tutto questo però non deve far cessare la convinzione che la politica in quanto tale, nonostante racchiuda in se molta durezza nella pratica di governo e sfoci a volte in fasi di amoralità, non potrà mai svestirsi completamente della sua principale componente etica, e resterà umanamente rispettabile nella sua funzione e nella sua natura, ed è necessario non spegnere mai la fiducia, anche di fronte a nuovi scenari prospettati non condivisibili.

Ma sarebbe un errore l’autoconvincimento della fine dell’era politica irresponsabile degli ultimi anni, e rappresenterebbe una svista fatale abbassare la guardia pensando di aver voltato pagina, dimenticando la distruttività di quell’incubo istituzionale e di quell’arroganza antidemocratica vissuta che ha portato il nostro paese al servilismo internazionale, al quasi tracollo economico, alla cancellazione dei diritti principali del mondo del lavoro, al blocco della crescita, trascinando le giovani generazioni verso un orizzonte incerto, senza futuro e con poche speranze, per non dire l’attacco furibondo alla nostra Costituzione fortunatamente respinto.

Chi pensa di aver cancellato questa stagione politica con una vittoria referendaria si sbaglia, molta strada resta da fare.

E si sbaglia chi propone soluzioni aggregative tra alcune forze politiche della sinistra o ultimamente riscoprenti la sinistra, soluzioni di fusione in un unico partito di chi ha visioni complessive divergenti non potranno, nonostante l’impegno, che risultare deboli e insufficienti dal punto di vista della cultura politica, della stabilità e anche del consenso che si vuole ricercare, soluzioni prospettate che si vogliono concretizzare con una conta matematica senza la base di un convinto consenso forte, senza l’entusiasmo che caratterizza ogni stagione politica.

L’Unità della sinistra in Italia senza una condivisa base ideale resta una parola vuota.

 

Officine Putilov                              Maglio Domenico